Lunedì, 07 Gennaio 2008 20:33

La “monnezza pubblica”

Scritto da  Gerardo

Domenico Pizzuti ci invia una riflessione di taglio socio-etico sulla c.d. emergenza rifiuti a Napoli. Che pubblichiamo integralmente nel seguito.
Buona lettura!




LA “MONNEZZA PUBBLICA”

Di Domenico Pizzuti S.I.


Mentre brucia sulla pelle dei cittadini, napoletani compresi, l’accumularsi dei rifiuti per le strade, sotto le abitazioni e scuole non smaltiti per giorni, che ha richiamato l’attenzione attonita dei media nazionali ed internazionali con immagini che non lasciano adito a dubbi, pur in presenza di autorevoli pareri contrari il Consiglio dei Ministri ha prolungato a fine dicembre il sistema straordinario del Commissariamento per l’emergenza rifiuti. A nostro avviso, per le profonde radici delle disfunzioni del sistema di smaltimento dei rifiuti nel tessuto sociale, la discussione non può essere limitata alle forme istituzionali di gestione del ciclo dei rifiuti, straordinaria o ordinaria che sia (da parte di Comuni, Province e Regione), in riferimento all’ individuazione delle responsabilità delle fallimentari e onerose gestioni di circa tre lustri. Di seguito alcune considerazioni per darsi ragione come cittadino pensante di un malfunzionamento che prima dell’ immagine danneggia i cittadini ed è sintomo di una crisi sociale più vasta nell’area napoletana e campana.
Una prima considerazione, a partire dall’alto, richiama l’attenzione sui sistemi di comunicazione tra Commissariato ed Enti locali, soprattutto Comuni, ed in ultima o prima istanza le popolazioni locali, per i veti incrociati dei primi e le resistenze e proteste delle seconde per decisioni percepite come dannose per la salute dei cittadini e penalizzanti una porzione di territorio. Senza scomodare le procedure di una “democrazia deliberativa” che non sono molto di casa in terra nostra, è in questione il funzionamento dei sistemi di comunicazione – o di partecipazione democratica - al fine di ottenere partecipazione e consenso alle deliberazioni e decisioni di responsabili ed Amministratori. Il riferimento è ad uno stile di governo - specialmente dei vertici amministrativi - talvolta centralistico ed in altre informale o personalistico, clientelare e mediatorio ma non risolutivo dei problemi, senza nascondersi il groviglio di interessi economici puliti e meno puliti - non solo di clan camorristici ma di varie consorterie non solo meridionali - tra cui i decisori erano chiamati a districarsi.
Di conseguenza si impone la domanda: qual è stata ed è l’efficacia dei sistemi di controllo istituzionali e centrali se la deriva è potuta durare quattordici anni e passa? A meno di ipotizzare un sistema di potere locale e centrale che si tiene sopra le teste dei cittadini a difesa, preservazione e riproduzione della c.d. “casta”, per cui non è agevole proclamare ”Il re e nudo!” pur di fronte a milioni di ecoballe in attesa di mitici termovalorizzatori non effettivamente messi in atto dai responsabili o osteggiati come mostri dannosi da popolazioni locali. Non è mancata in verità l’azione di informazione da parte della stampa locale, che non è riuscita a smuovere la società civile da una sorta di adattamento passivo alla cattiva gestione o ai cumuli di rifiuti fin sotto casa. Di qui l’amara e tardiva considerazione su una certa latitanza e mancanza di mobilitazione dei cittadini e dei loro raggruppamenti lungo il corso di un quindicennio di “monnezza” pubblica!
In secondo luogo, rivolgendoci al basso - alle comunità locali, al tessuto o stile delle relazioni sociali - appare plausibile riferirsi alle ripetute manifestazioni di localismo, particolarismo e familismo certo “amorale” da parte delle comunità locali interessate a discariche o siti di stoccaggio e simili, cavalcate da sindaci di ogni estrazione partitica e qualche volta anche da rappresentanti delle chiese locali. Riteniamo pertanto che, unitamente agli stili di governo ed all’“etica pubblica” da osservare da parte degli amministratori, si debba rivolgere l’attenzione ad atteggiamenti e comportamenti diffusi e radicati di componenti delle comunità locali in senso particolaristico, frutto di una prolungata “diseducazione civica” - se per esempio è stata tollerata in alcuni comuni l’ edificazione in maniera selvaggia secondo le convenienze dei singoli - , e di una mancata o stravolta visione del “bene comune” secondo l’ opposizione di “dentro e fuori” come “pulito e sporco”. E non ha sopperito un’ etica cattolica non puramente individualistica e verticale nel modellare l’ethos dei comportamenti collettivi. Non è fuori luogo sottolineare per esempio che le brutture e distorsione urbanistiche non rispondono nello stesso tempo a canoni etici di vita collettiva per responsabilità diffuse, cioè c’è una corrispondenza tra “estetica” ed “etica” e naturalmente anche per il contrario, che non sempre è percepita per un atonia morale di spirito pubblico.
Senza toni apocalittici che ci sono estranei, riteniamo che l’ossimoro della c.d. “emergenza rifiuti”, non manifesti solo il fallimento di sistemi istituzionali di governo – straordinario o meno che siano - con sperpero di risorse pubbliche senza giustificati risultati, ma sia il sintomo di cui una crisi sociale più vasta che è anche un ripudio della modernità non solo tecnologica (termovalorizzatori certo delle ultime generazioni), ma democratica ed etica nel senso comunicativo, deliberativo e di primato degli interessi collettivi o del bene comune possibile.

Napoli 6 gennaio 2008
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